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Pedagogia

Una scienza e più pedagogie per riflettere sull’educazione e i suoi contesti, attivare processi formativi tra adeguamento e contestazione

Possiamo definire la pedagogia come la scienza che si occupa di tutto ciò che riguarda l’istruzione, la formazione e l’educazione.
Prima di vedere un po’ più da vicino ognuno di questi tre termini, si può anche accennare alla “duplice anima” della pedagogia: un’anima “filosofica”, nel senso che la pedagogia riflette sui molteplici elementi che la interpellano: la definizione stessa dei suoi ambiti di intervento, dei quali indaga la natura (cos’è “istruzione”, “formazione”, “educazione”), i soggetti coinvolti, le finalità da perseguire, i metodi e gli strumenti da impiegare, i suoi rapporti con le altre scienze (umane e dell’educazione). La pedagogia conduce una riflessione critica, cioè analizza i contesti in cui è inserita, mettendone in luce anche gli aspetti problematici, e i modelli educativi, passati e attuali, per valutare quanto siano rispondenti alle sfide di quel dato contesto e proporre, nel caso, i necessari cambiamenti; perché la pedagogia non si attarda nel mantenimento fine a se stesso delle consuetudini socio-culturali. La riflessione critica investe anche quegli aspetti dell’educazione non manifesti, eppure di straordinaria forza persuasiva. E da qui emerge l’altra anima della pedagogia, quella pratica: infatti, la riflessione e i saperi della pedagogia sono sempre orientati all’agire, in risposta a precise sollecitazioni ambientali; i modelli educativi che propone devono poter essere messi in pratica e rivelarsi risolutivi, sia nei percorsi individuali che a livello collettivo.

La profondità di sguardo della pedagogia, per tutto quello che ha distillato nel suo lunghissimo percorso; l’essere tenacemente orientata al contesto e al momento storico in cui opera, per cui i suoi interventi sono sempre connessi al qui e ora; la sua azione educativa che è un “allevare” senza trattenere, anzi “conducendo fuori”, altrove: ecco, a nostro giudizio, qualche buon motivo per far tesoro delle sue teorie, dei suoi metodi, delle sue provocazioni. E farsi accompagnare, non più come fanciulli, ai luoghi della nostra continua maturazione umana.

 

(Pedagogo, «accompagnatore di fanciulli»)

Riprendiamo ora i tre termini introdotti all’inizio, con un’AVVERTENZA: la pedagogia è una scienza vasta, con una storia lunga secoli che ha dato vita a scuole di pensiero, modelli, metodi; riformulazioni e ulteriori sviluppi, ricapitolazioni e ancora nuovi strumenti d’azione…tutto questo ha dato ricca materia per i significati (sempre in costruzione) dei termini stessi; si è scelto di assumere qui, di quei significati, alcuni degli elementi che sono apparsi  più in sintonia con le caratteristiche di questo sito.

È l’insieme di quei processi attraverso cui avviene la “consegna” di determinati contenuti e specifiche competenze, che rendano i soggetti adeguati a muoversi in ogni ambito (a cominciare da quello professionale) del proprio contesto di appartenenza. Attiva principalmente la sfera cognitiva (mentale) ed ha un luogo “privilegiato” di svolgimento: la scuola. Privilegiato non vuol dire esclusivo e, sicuramente, in molti avranno frequentato luoghi altri, dai quali hanno attinto conoscenze e abilità; la scuola, tuttavia, è quella che viene indicata come «agente formale», ossia come lo strumento istituzionale di una certa società, per perseguire il fine dell’istruzione. Allo scopo, viene operata una selezione dei contenuti da presentare, vengono fissati obiettivi di apprendimento e scadenze entro cui raggiungerli, elaborate e condivise metodologie didattiche, stabiliti criteri di valutazione…tanto per fare alcuni esempi di come l’istruzione venga organizzata all’interno della scuola. Per quanto il concetto di istruzione si trovi profondamente legato a quelli di formazione ed educazione (e i confini reciproci e le priorità da assegnare l’uno rispetto all’altro sono da sempre un punto problematico di riflessione pedagogica), è attualmente del tutto chiaro che la formazione e l’educazione non coincidono  con la sola istruzione. Vediamole.

È un complesso di esperienze – il cui protagonista attivo è il soggetto – che non lascia fuori alcuna componente della dimensione personale (corporea, intellettuale, emotivo-affettiva…) e che si riferisce alla crescita della persona intesa come maturazione umana e culturale; non lascia fuori alcun tempo della vita ma, anzi, promuove per l’intero ciclo esistenziale la conquista di abilità specifiche, “apparecchiando” contesti e strumenti appropriati; non lascia fuori alcun luogo, poiché ovunque si producono e si assimilano conoscenze e tecniche, ruoli e relazioni, modi di comunicare e valori. In ogni luogo e in ogni fase della vita si svolge, dunque, quel costante processo di apprendimento senza il quale non sarebbero possibili né la sopravvivenza biologica e individuale, né quella culturale e sociale; poiché la sopravvivenza implica l’adattamento all’ambiente, e imparare trasforma, modifica gli atteggiamenti, cioè il modo di stare concretamente di fronte alle cose, di affrontare le situazioni via via emergenti, e reagire. Essere protagonisti attivi della propria formazione significa, anche, condurre questo processo in modo responsabile, consapevole e… creativo! Un bel guizzo di creatività è necessario infatti per armonizzare una delle antinomie più provocatorie con cui si misura la pedagogia: quella fra individuo e società. Quale immagine? Un’arena in cui due antagonisti si affrontano in una perenne lotta dal finale necessario: la sconfitta/eclissi di uno perché l’altro possa affermare l’espressione e la soddisfazione delle proprie esigenze? Immagine che, sfrondata dai suoi aspetti cruenti, si riconosce, in ambito di riflessione pedagogica, in due tipi di teorie: quelle individualistiche e quelle sociocentriche. O, piuttosto, fili strettamente intrecciati in un’unica trama, in cui le potenzialità messe a frutto dall’uno concorrono all’arricchimento dell’altra e viceversa, in un moto di reciproca influenza, verso la promozione di entrambi? E qui, le teorie oggi di riferimento sono quelle che cercano di superare le opposizioni fra i due precedenti approcci, facendo sintesi. In che modo, poi, questo si possa mettere in pratica, non è ancora ben definito. Il discorso ci ha portato, intanto, all’ultimo dei tre termini.

È l’insieme degli interventi tesi a sostenere lo sviluppo delle potenzialità presenti in tutte le dimensioni costitutive della persona, perché possano emergere ed essere strumento di realizzazione di sé. A questo movimento che procede dall’interno verso l’esterno, si affianca quello inverso, per il quale il singolo è raggiunto da tutto il patrimonio di valori, credenze, modelli, usi e costumi condivisi, che costituisce la cultura di una società; e di questa cultura si alimenta costruendo, insieme alla propria soggettività, anche il senso di appartenenza alla società. Questo duplice movimento è espresso dal significato dei due vocaboli latini ai quali si riconduce il verbo “educare”, rispettivamente: ēdūcĕre («trarre fuori») e ēdŭcāre («nutrire», «allevare») . Quale immagine? Quella della radura, che prendiamo in prestito, con gratitudine, da un filosofo dell’educazione e pedagogista, scomparso nel 2000: Riccardo Massa.
La radura, luogo in cui si fanno meno fitti, fino anche a scomparire, sostegni, schemi e riferimenti, a volte un po’ ingombranti. Rimane lo spazio senza confini, nel quale scorgere possibilità inedite per attraversarlo, o abitarlo; perché condivisione e appartenenza confermano il valore di quanto altri hanno già realizzato e suscitano il necessario adattamento all’ambiente sociale, ma il comune patrimonio culturale è fatto anche della divergenza che l’originalità individuale vi introduce. E infatti…

Uno dei fini fondamentali dell’educazione è l’autonomia, assecondando una spinta evolutiva che arriva da lontano; dal momento in cui si viene al mondo, inizia un lungo processo di individuazione, ossia di differenziazione progressiva del singolo rispetto agli altri, che lo porterà a riconoscersi quale soggetto del tutto distinto tra la moltitudine degli umani (e non solo), dotato di caratteristiche proprie, originali. “Autonomia” è uno di quei termini che si prestano ad essere facilmente fraintesi;  a disambiguare il concetto, può essere d’aiuto ritrovare il nostro individuo ai suoi esordi nel mondo: come la teoria psicologica sull’attaccamento ha da tempo evidenziato, è solo partendo da una base sicura che si può rischiare l’avventura del distacco, non solo fisico, ma anche emotivo e cognitivo; è solo per la fiducia che l’altro c’è, che se ne può prendere le distanze – in tutti i sensi; è solo per la presenza di limiti (le regole) stabiliti che si matura la capacità fondamentale di autoregolarsi. Dunque, in ogni tempo della vita, “autonomia” NON È sottrarsi alle dinamiche della relazione e al rispetto delle regole che ogni comunità (in quanto sistema di relazioni) comporta. Al contrario, è impegnarsi nel delicato gioco di equilibri fra dipendenza ed emancipazione, impiego delle sole proprie forze e ricorso al sostegno altrui, tra singolarità e reciprocità.

La complessità è la cifra del nostro tempo

Altro fine fondamentale dell’educazione: il pensiero complesso. Perché la complessità è la cifra del nostro tempo; le sue caratteristiche sono espresse da parole ormai a tutti familiari: molteplicità, alterità, decentramento, instabilità, multiculturalità, provvisorietà, relatività, incertezza, multidimensionalità…Per decodificare una realtà così connotata, occorre una testa dotata di qualità simmetriche a quelle del reale con il quale si misura; cioè una ragione plurale, aperta, dialogica, flessibile, problematica. Il pensiero complesso. Questo pensiero sostiene il confronto con la molteplicità dei punti di vista di cui è intessuta la conoscenza oggi; e recupera dalla marginalità in cui si trovavano confinate, dimensioni che, nella costruzione della conoscenza, hanno un ruolo fondamentale: l’emotività, l’immaginativa, l’irrazionalità, l’estetica… Come si diceva più sopra, tutto l’umano è compreso nel discorso pedagogico.  Se questa è la natura del reale, della conoscenza e del pensiero che li indaga, si comprende la tendenza in atto a promuovere, anche in ambito scolastico, lo scambio interdisciplinare. In quest’ottica va compresa anche la specializzazione dell’unico discorso pedagogico in un buon numero di articolazioni dedicate ciascuna a un tema privilegiato: Pedagogia sociale, Pedagogia della famiglia, della musica, della comunicazione…la conoscenza approfondita che la specializzazione consente, non viene “trattata” come un territorio separato, ma diviene risorsa per il sapere pedagogico nel suo insieme.

Il discorso sul pensiero complesso dà occasione per un’ultima, breve nota dedicata alla creatività; essa, infatti, è favorita e aumentata proprio dalle qualità del pensiero complesso. C’è un lato forse meno noto di questa capacità, che spiega come mai per essere creativi non si debba necessariamente realizzare qualcosa di mai visto prima: il comportamento creativo è anche quello che seleziona dall’esistente elementi vari, che poi mette insieme in combinazioni nuove, non scontate, inusuali.

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